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Anche Dio è laico

“Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” è sicuramente una delle frasi più celebri della cultura occidentale. Tuttavia, come spesso accade, è ridotta a una “citazione citabile” da sfoderare in ogni occasioni utile, decontestualizzandola e piegandone il senso e il significato sulla base dell’esigenza del momento, come è accaduto recentemente in occasione dell’Istituzione, da parte del Ministero della Salute, della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana la cui presidenza, per convinta volontà del Ministro Speranza, è stata affidata a Mons. Vincenzo Paglia, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Una scelta, questa, che ha registrato apprezzamenti (sulla base della caratura, dell’esperienza e del vissuto che Paglia può vantare) ma anche molte polemiche, rendendo l’argomento che stiamo affrontando nuovamente attuale e pregnante: la laicità e nello specifico la laicità dello stato. La questione è ovviamente enorme e andrebbe affrontata scandagliondola nei suoi fondamenti filosofici e seguendola nello sviluppo storico; non abbiamo dunque certamente la presunzione di poterla risolvere in questa sede. Intendiamo tuttavia indicarne qualche sfumatura a partire proprio dalla frase con la quale abbiamo iniziato.

I Vangeli ci raccontano che i nemici di Gesù, intendendo farlo incappare in errore, gli chiesero se fosse giusto versare i tributi a Cesare. Egli a sua volta chiese loro chi fosse raffigurato sulle monete; quelli risposero: “Cesare”. A quel punto Gesù ribatte nuovamente: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.”

Cosa vuol dire? Anzitutto Cristo sancisce in maniera chiara e inequivocabile che abbiamo a che fare con due ambiti diversi da cui scaturiscono due ordini diversi: c’è un potere temporale e che si occupa delle cose di quaggiù e un altro che ha invece un fine ultraterreno. Come questa distinzione -che in Occidente si è storicamente realizzata nei termini di Stato e Chiesa- si è articolata nelle varie epoche è una questione che richiede libri interi.

A noi qui interessa il senso che crediamo di poter rintracciare nella convinzione che ci sono campi esistienziali, spirtuali, religiosi che si trovano al dì là dello stato. La polis non assorbe in sé la totalità della Persona umana. Alle istituzioni civili è affidato il compito di costruire e ricercare le condizioni di benessere materiale e sociale e non di indicare o professare orientamenti riguardo i significati profondi dell’esistere umano. Ecco perché lo Stato, badate bene, è laico e non ateo: se lo fosse starebbe professando una fra le tante confessioni.

Lo Stato laico non si trova davanti a fedeli o infedeli, ma semplicemente davanti a cittadini. E, dall’altra parte, il cittadino di uno stato laico sa che qualsiasi sia la sua convinzione religiosa egli potrà sempre e comunque non solo riconoscere lo stato come proprio, ma anche riconoscersi in esso.

Chi ha letto qualche libro sa che la prima teorizzazione sistematica e moderna del concetto di laicità è opera di un cristiano, John Locke, autore della Lettera sulla tolleranza e di un Saggio sullo stesso argomento. Locke, che per intenderci è autore anche di un testo che ha per titolo Ragionevolezza del cristianesimo.

La laicità dunque è un bene per chi fa professione di fede, una garanzia di non ingerenza nelle convinzioni più intime.

Questo, tuttavia, non può significare ignorare o adirittura fare finta che le religioni non esistano. Ebrei, musulmani, cristiani, buddhisti non sono corpi estranei che si trovano accidentalmente nella società, ma sono cittadini dello Stato e in quanto cittadini hanno il diritto e il dovere di partecipare alla vita dello Stato secondo gli strumenti e le modalità che la democrazia liberale mette a loro disposizione.

Ci rendiamo conto che questo complica enormemente le cose, che sarebbe molto più facile decidere una volta per tutte e uno per tutti. Ma questa è del resto la sfida dello stare insieme: se non fosse difficile non sarebbe bello.

Aggiungiamo inoltre che l’apertura a un orizzonte religioso non solo è motivo di arricchimento per l’individualità del singolo ma anche per una dimensione sociale. In questo senso vogliamo ricordare le parole di Palmiro Togliatti, che certamente non può essere accusato di clericalismo, il quale affermava che l’azione politica “può trovare uno stimolo nelle coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai problemi del mondo contemporaneo.”

Detto ciò bisogna salvaguardare le distinzioni fondamentali: le istituzioni civili possono partecipare a una manifestazione religiosa perché riguarda parte della cittadinanza, non possono però organizzarla. Possono decidere di valorizzare un patrimonio religioso se da esso è sgorgata cultura e storia, non possono proclamarsi direttori del culto. Un politico (specie rara oggi) deve avere dei valori e agire secondo valori (guai se non fosse così) ma non può permettersi di sventolare rosari in piazza, baciare Vangeli o darsi a pellegrinaggi estemporanei. Sono atti e strumentalizzazioni che prima ancora che la laicità offendono non solo il sentimento religioso di chi crede ma la stessa intelligenza di ogni persona.