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San Rocco e il gusto dell’Esistenza

Il canto che i satrianesi intonano in occasione delle feste di San Rocco e che narra la vita del pellegrino di Montepellier descrive una giovinezza di “ricchezze e piaceri”. Se approfondiamo la biografia del nostro Patrono scopriamo come egli provenisse effettivamente da una famiglia nobile e abbiente al pari di un altro santo e poderoso personaggio della storia del nostro Occidente: Francesco d’Assisi.
Entrambi, tuttavia, si trovarono a sperimentare la vacuità e l’inconsistenza di una vita che, per quanto agiata nei suoi aspetti materiali, si rivela in definitiva inappagante. Non è un’esperienza molto diversa da quella che spesso viviamo tutti noi e i giovani in particolare, abituati a un tenore di vita inimmaginabile per i propri nonni, ma probabilmente più infelici di loro.

Cosa ci manca?
Fra le letture che vengono proposte nella messa di San Rocco troviamo il celeberrimo Inno alla carità di San Paolo, un testo che nei secoli ha continuato a stimolare, e forse a provocare, pensatori e scrittori. Inizia cosi: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.”
Quanta attualità in queste parole! Oggi tutto è comunicazione, notizia, marketing e chiunque grazie ai social ha la possibilità di fare sentire la sua voce ad una platea enorme. Eppure, questa rimane un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’anoressia dei fini, in cui i nostri discorsi corrono spesso il rischio di non essere nient’altro che il risuonare di un bronzo o il tintinnare di un cembalo, suoni vuoti ed inconsistenti. È per questo che il nostro tutto si rivela alla fine niente e prendiamo coscienza di essere sazi e disperati.

Forse erano questi i sentimenti di un giovane Rocco quando decise che quella vita non gli bastava più e che era giunto il momento di mettersi in viaggio alla ricerca di qualcosa di più grande, per diventare un campione di carità il cui esempio è arrivato fino a noi. Ma cos’è questa carità? È qualcosa di più profondo di quello che intendiamo quando diciamo “fare la carità”, come suggerisce l’inno quando recita: “E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova”. È di più della benevolenza verso i poveri o della pietà, è una disposizione generale e totale verso la vita, come impegno orientato da valori e da idee. È essere sapienti, che significa, come suggerisce la sapienza latina, avere sapore. Quando si è malati si perde la capacità di sentire i sapori; il cibo tuttavia non è cambiato. Allo stesso modo siamo noi a dare alla vita e al mondo il loro sapore o a renderli, nichilisti più o meno inconsapevoli, insipidi.

San Rocco è stato un uomo che ha deciso di dare alla vita il suo sapore, di vivere secondo valori e di non bastare a sé stesso, di essere sale della terra.
L’augurio che vi e ci facciamo è che il suo esempio possa valere per ognuno di noi singolarmente e per la nostra comunità nel suo complesso. Che essa possa avere orrore della piattezza, della banalità, della mediocrità e dell’arte dell’accontentarsi, e possa, invece, stringendosi ancora una volta attorno al suo simbolo identitario per eccellenza, tornare a porsi le grandi domande e a ricercare una radice profonda di senso.

VIVA SAN ROCCO!