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Anche oggi, «Viva San Rocco!»

Usciamo da tempi anomali, in cui ci siamo dovuti abituare a vedere cambiare il nostro stile di vita dalla mattina alla sera. Le nostre abitudini, i nostri rapporti, i nostri svaghi sono stati a lungo sospesi in nome di una battaglia tanto difficile quanto necessaria. In questi due anni di pandemia abbiamo scoperto quello che a lungo volevamo negare, che siamo immersi in una rete di interdipendenza reciproca, che non si può, per usare le parole del pontefice, rimanere per sempre sani in un mondo malato. E se le immagini che rimarranno nei libri di storia sono quelle delle strade deserte di Roma o dell’insolita assenza di calca attorno alla Kaaba della Mecca, anche i nostri piccoli e periferici paesi sono stati colpiti da questa vicenda che possiamo senza tema di smentita definire epocale.

E proprio quando la pandemia sembra arretrare, una nuova sciagura si abbatte sulla nostra Europa. Se infatti questa sera, dopo due anni, la processione di San Rocco tornerà a sfilare per le nostre strade, lo farà all’ombra della guerra in Ucraina.

Quella di maggio è una festa minore, memoria popolare la cui origine sembrerebbe essere legata alla natività del figlio più celebre di Montepellier, ma non per questa meno bella o meno sentita. Anzi, questo tratto di sobrietà rappresenta forse non solo una peculiarità ma anche un valore aggiunto di questa ricorrenza: vedere l’effigie di San Rocco che pare quasi galleggiare sulla gente davanti a un infuocato tramonto non ancora estivo è sempre un’immagine emozionante.

Oggi torniamo a vivere queste sensazioni che ogni anno aspettiamo e ogni anno ci stupiscono, rappresentando momenti centrali nel calendario della nostra comunità. San Rocco rimane infatti, per credenti e non, il momento apicale e maggiormente emblematico dell’identità satrianese, difficilmente sostituibile.

Ora che possiamo nuovamente celebrare la festa ritrovandoci ad attendere l’uscita del simulacro ai piedi della scalinata della chiesa, ci accorgiamo che la normalità, che il coronavirus ci ha portato via, la serenità che la guerra viene a turbare, non sono banalità, ma segni di una progettualità che avanza con il procedere del tempo e si armonizza con il succedersi delle stagioni, come ci insegna la pratica contadina che caratterizza la nostra terra.

In una società in cui la parola d’ordine è consumo, ed essa si declina nella continua ricerca della novità, dell’esperienza “unica” e sempre più esaltante, riscopriamo oggi il valore delle piccole cose, quelle di sempre. In questo senso, è utile citare un suggestivo proverbio arabo che recita così: “Cosa c’è di più comune dell’aria? Eppure guai a non respirarla.”

Il mondo, a differenza di quanto a volte sentiamo dire, non uscirà necessariamente migliore dall’emergenza sanitaria o dalla tragedia della guerra; ma quello che ognuno di noi può fare è ritornare alla propria quotidianità con una nuova e più profonda consapevolezza che ci proviene dallo sperimentare che le cose non sono scontate.

Giorgio la Pira diceva: “C’è una primavera che si prepara in questo inverno apparente.”: a noi spetta realizzare questo augurio.

Buona festa a tutti.