È per noi molto difficile provare a ricordare don Antonio. Anche in questo momento, nello scrivere queste parole avvertiamo questa difficoltà. È difficile perché don Antonio è stata una presenza costante nella nostra vita, un rapporto profondo, non sempre sereno ma imprescindibile. Parlare di don Antonio significa parlare di un incontro che in qualche modo ha contribuito a tracciare i binari della nostra vita. E tuttavia, sentiamo di dover oggi provare a parlarne.
La prima cosa che si può dire è che don Antonio è stato un prete. Può sembrare un’ovvietà, una banalità, e forse lo è. Ma si potrebbe dire che con la talare ci sia nato. Non c’era modo di fargli saltare la liturgia delle ore e chi lo ha conosciuto lo ricorderà sicuramente con il breviario perennemente a portata di mano. Talvolta, in alcune caratteristiche e abitudini poteva sembrare arrivato da un’altra epoca. Non si abituò mai a scrivere al computer utilizzando sempre la macchina Olivetti e rispondendo alle prese in giro, che inevitabilmente ne scaturivano, ricordando che così faceva anche Indro Montanelli. La sua era sicuramente un’intelligenza vivace, sottile, insidiosa per chi ci trovava a discuterci. La alimentava con letture forsennate che impegnavano la totalità del suo tempo libero. O con il cinema, sua grande passione e campo nel quale non sgradiva vantare “una buona cultura”.
Era poi un grande predicatore quando si trovava sull’altare e in fondo anche quando sia parlava a tavola. I suoi ragionamenti avevano la caratteristica di essere talmente eleganti, suadenti e ben strutturati che in qualche modo capire se avesse ragione o meno passava in secondo piano. Quello che diceva lo diceva così bene che qualche volta risultava più bello crederci anche se magari non si era convinti fino in fondo delle sue ragioni.
È stato animato da una cattolicissima fiducia nello strumento della ragione, seguace del Tommaso del Contra Gentes che sempre citava, convinto che la ragione fosse davvero quell’unica tavola a cui tutti, indipendentemente dalle convinzioni personali, possono sedere.
Don Antonio abitava nelle contraddizioni. Sapeva essere accogliente ma anche sfuggente, severo ma anche indulgente, portando talvolta le ragioni della stima o del rapporto personale a prendere il sopravvento su quelle di un giudizio pienamente obiettivo. Era aperto al dialogo e a vagliare le opinioni altrui e tuttavia non era facile fargli cambiare idea o convincerlo a rivedere le sue posizioni.
Ma il tratto che più stupiva era quella giovialità e quella brillante ironia che convivevano con una tendenza al pessimismo e, in alcuni momenti, addirittura alla cupezza che ben conosce chi ci ha trascorso molto tempo insieme. Gli proveniva dalla malinconica consapevolezza di vedere il mondo andare in una direzione che non è quella che lui avrebbe auspicato. A questa consapevolezza si aggiungeva un sentimento di inadeguatezza, manifestato anche nell’ultima lunga chiacchierata che abbiamo avuto esattamente una settimana prima che ci lasciasse così improvvisamente. E abbiamo ricordato un’altra volta che ci lasciò in maniera improvvisa, quando quasi 10 anni fa lasciò la nostra parrocchia e il nostro paese.
Ora, sia ben inteso, don Antonio ha sempre saputo che un buon sacerdote è al servizio della sua diocesi e sta dove il suo vescovo decide che debba stare. Eppure, anche in occasione di quest’ultimo scambio non ha mancato di parlarci di un sentimento di impotenza che viveva davanti al sorgere di qualcosa nel nostro paese che non si sentiva pronto e in grado di affrontare. Non di rado si definiva prete sterile. È qualcosa che stupisce se si pensa alle tante attestazioni di stima, di affetto, di gratitudine alle quali stiamo assistendo in questi giorni sui social, ma è cosa che sicuramente ci spinge a una profonda riflessione.
«Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
A noi resta oggi il senso radicale di una mancanza e la perdita di un punto di riferimento. Era una persona a cui valeva sempre la pena chiedere un consiglio, un’opinione, una prospettiva sull’attualità, e non ci si può non sentire smarriti di fronte al fatto che questa voce ci è stata tolta.
Ma rimane anche il profondo rispetto, la stima, l’ammirazione che si deve non a un parroco, neache ad un prete, ma prima di tutto a un uomo che ha trascorso la sua vita a scrutare nell’abisso delle cose per scorgervi la vertigine della verità. E ora don Antonio vede la Verità e abita nella Libertà.
3 replies on “Introibo ad altare Dei”
Tutti i grandi portano in sé la malinconia della solitudine e la giovialità della compagnia, il pensiero triste e la speranza fiduciosa. Don Antonio, uomo di grande fede e intelligenza, è stato ed è un grande.
Gli “Antonio” che sono passati tra la vostra comunità hanno ricevuto accoglienza, affetto e amicizia. Conoscevo don Antonio Petrone dal tempo del seminario e tra noi c’era una amicizia fraterna. Quando ci si incontrava parlava con molta stima della comunità satrianese ed io non potevo che confermare questa sua considerazione, visto anche il mio vissuto. Ed è per questo che mi sento di dire a nome suo ed anche mio: GRAZIE.
Don Antonio è stato mio compagno e amico di Seminario Minore a Potenza dal 1980 al 1985. Stessa classe. Poi le nostre strade si divisero ma non per sempre. Lui proseguì gli studi teologici ed io mi iscrissi alla Facoltà di Lettere e Filosofia a Bari dove consguii la laurea. Successivamente ritornai sui miei passi e fui ordinato Diacono. Attualmente Insegno Italiano e latino presso un Liceo Scientifico Statale. Abbiamo condiviso con d. Antonio la passione per le belle lettere antiche e moderne e per le questioni eico-folosofiche, nonché l’ansia mai sopita della ricerca di Dio che si lascia intravedere dai cuori umili e semplici e don Antonio era un gigante di umiltà pur essendo strutturalmente robusto in quanto a cultura e a spirito critico-esegetico. Prega per tutti noi, amico mio, e intanto goditi la visione di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito che sempre hai cercato, annunziato e amato.
Un abbraccio
Don Nino, diacono.