Pochi giorni fa i telegiornali e le testate nazionali riportavano la notizia che il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Federico Cafiero De Raho ha dato parere favorevole alla richiesta degli arresti domiciliari di un capo mafia tra i più efferati e pericolosi di Cosa Nostra, Giovanni Brusca, perché nel corso della sua lunga detenzione (sono trascorsi già 23 anni) ha dato prova di un sincero ravvedimento e pentimento.
La notizia ha destato scalpore e giustissimo turbamento nella società civile fino a quando la Suprema Corte Cassazione si è pronunciata sulla questione ponendo una sacrosanta pietra tombale: nessuna concessione!
Brusca rimarrà a scontare la sua pena in carcere; pena che comunque terminerà nel 2021 perché non gli venne inflitto l’ergastolo.
La sentenza di ieri della Grande Chambre della Corte Europea ha ritenuto incompatibile con i diritti fondamentali dell’uomo l‘istituto italiano dell’ ergastolo ostativo, che vieta permessi e sconti di pena per i mafiosi che non collaborino con la giustizia.
Va quindi cancellato il “fine pena mai” di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, per contrasto con l’art. 3 Cedu, che vieta il trattamento inumano e degradante dei carcerati.
E’ una sentenza complessa, al cospetto della quale non ho il lusso delle certezze, ma un groviglio di dubbi.
Ne illustro solo due.
Il primo è culturale.
I giudici di Strasburgo hanno deciso sulla base della piena consapevolezza delle peculiarità del fenomeno mafioso?
La mafia, ammoniva Falcone, è molto più di un crimine, è un’appartenenza, uno status sociale, un habitus mentale, un cancro dell’anima. “Un mafioso resta mafioso fin quando non muore o non decide di collaborare”. Il pentimento interiore, non confortato dalla dissociazione tangibile, rischia di essere solo una meravigliosa utopia.
Il secondo dubbio è giuridico.
A chi spetta fissare il punto di equilibrio tra diritti del singolo e sicurezza collettiva e, quindi, la sintesi tra legittima voglia di futuro del detenuto e efficacia della lotta al crimine organizzato? È una scelta che compete agli organismi sovranazionali o alla legge autonoma dello Stato? Fino a che punto l’adesione al consesso europeo ha implicato la limitazione della nostra sovranità su questioni nevralgiche che riguardano da vicino il nostro futuro e i nostri destini?